mercoledì 7 giugno 2017

Cosa c'è in una coppa

Domenica. Tornavamo dalla gara di corsa di Eleonora e Sofia. Eleonora camminava un po' davanti a noi. In mano aveva la coppa. Un paio di volte l'ha guardata e ha sorriso, un sorriso di gioia sua, vera. Ricordo l'anno scorso quando aveva corso quella gara per la prima volta. Era arrivata decima. Sulla strada del ritorno mi disse che la prossima volta sarebbe tornata a casa con una coppa. Io le dissi che ci sarebbe voluto un allenamento costante.
Mentre la guardavo mi chiedevo perché io fossi contento, per il mio orgoglio di genitore o per lei. Quest'ultima dovrebbe essere l'unica ragione.
Ricordo quando dopo l'estate le arrivò la lettera di una prestigiosa società di atletica. Avevano visto il suo tempo, avevano visto che non faceva parte di nessuna società sportiva e quindi le chiedevano di allenarsi con loro, cosa che abbiamo fatto sino a quando non mi hanno rubato la moto. Dopo gli allenamenti parlavamo di perché si fa sport e di perché si compete, dello sport come scuola di vita per gli allenamenti e l'impegno, ma anche per il rispetto dell'avversario, per l'imparare sia a vincere che a perdere, per porsi obiettivi individuali che non sono necessariamente un primo posto, ma sono una vittoria personale.
Le ho chiesto una volta arrivati a casa il perché di quei sorrisi speciali guardando la coppa, Le ho chiesto se sapeva che l'amore mio e di Anette verso di lei non hanno nulla a che vedere con il suo piazzamento (mi ha detto che lo sapeva). E così mi ha raccontato che quella coppa per lei era un simbolo. Il simbolo delle volte che siamo andati a correre insieme, ma anche delle volte in cui lei è andata a correre da sola. È la sua riprova che l'essere tornata dagli allenamenti di orientamento di corsa (circa 3 km dopo averne fatti altrettanti nella foresta a trovare i controlli) le è servito. Quella coppa era il suo obiettivo, per se stessa. Il suo premio per gli allenamenti fatti, per aver trovato la costanza. Quando ha superato sul rettilineo finale la ragazza che le stava davanti e poi l'ha vista piangere disperata dopo il traguardo era consapevole che anche quella ragazza si era allenata, e che su quel rettilineo aveva dovuto trovare tutte le energie. Era consapevole che anche lei avrebbe pianto nello stesso modo, e che io e Anette le saremmo stati molto più vicini.
Quella coppa non l'ha vinta per fare contenti noi genitori. L'ha vinta per se stessa. E adesso è lì, in camera, a ricordarle qualcosa di diverso da una gara di corsa. Dice che è proprio come i voti di certi compiti in classe. Sono la prova di aver lavorato bene.

Tornando da scuola oggi mi ha detto che pensava di andare a fare il suo giro di 5 km. Io le ho consigliato di godersi qualche giorno di meritato riposo.

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